Filigrana

Questa lavorazione è antichissima, risale al terzo millennio a.C. nel medio oriente. Periodicamente nel tempo trova diffuso impiego: nel tardo romano, nel medio evo in Sicilia e a Venezia, nell’età barocca, alla fine dell’’800 e all’inizio del ‘900. Come dice la parola composta di fili e grana il lavoro consiste nell’impiego di una treccia di due fili metallici torti e poi schiacciati in modo da limitare ai due lati il caratteristico andamento primitivo dei due fili a filetto di vite.

Ottenuto il filo esso viene impiegato per riempire opportunamente una ossatura, un telaio che costituisce il disegno dell’oggetto: un cuore, una farfalla, una ragnatela, una croce, una mano.

A Genova, città di mare, questa ossatura o telaio ha ricevuto il nome di “scafo” per analogia con lo scafo di una nave che viene riempita dopo il varo, o scafatura.
il riempimento della scafatura viene fatto completamente a mano. allo scopo il filigranato viene piegato variamente o avvolto intorno a se stesso in modo da disegnare un ovale, un riccio, un panetto, un circolo; con un numero sufficiente di questi elementi si riempie la scafatura in modo che l’insieme resta a posto da se, solo per pressione mutua fino a consentire la saldatura che è l’operazione immediatamente seguente.

La riempitura si fa su lastre di ghisa o su mattonelle mediante l’impiego di una pinza adatta. La saldatura si fa con lega d’argento al 585/000 contenente zinco 175 e parti 240 di rame. Preparate in lingottini viene limata e rimescolata con borace in polvere. Gli oggetti si immergono in una soluzione di borace e si dispongono su una lastra di vetro dove si fa la carica, ossia la spolveratura con la limatura pronta per saldare mediante un piccolo setaccio.

Si dispongono poi una lastra refrattaria e si manovra sotto un getto di fuoco fino ad ottenere la fusione della polvere e quindi la saldatura.

( tratto da Luigi Vitiello Oreficeria Moderna tecnica – pratica Hoepli).